Cittadinanza è prendere la parola sul mondo ed esserne responsabili

Il mondo entra a scuola con i Laboratori di cittadinanza, i problemi sociali diventano persone, luoghi e storie, conoscere spinge a prendere posizione, implicarsi, agire.

I Laboratori si svolgono nell’arco di alcuni mesi nelle scuole medie superiori, prevedono studio ed esperienza e organizzano, per chi vi partecipa, l’incontro e il lavoro comune con persone che vivono i problemi personali e sociali che a scuola sono oggetto di studio. Studentesse e studenti, con la collaborazione di insegnanti, animatori della Fondazione e operatori dei servizi pubblici, lavorano con associazioni e gruppi di utenti dei servizi di salute mentale, con lavoratori delle cooperative di ex detenuti, con migranti che chiedono asilo. Da queste esperienze nascono discussioni, domande, ricerche, inchieste che diventano testi, cortometraggi, foto, disegni, canzoni.

Per questo parliamo di Laboratori, perché qui lo studio è legato all’esperienza; e parliamo di cittadinanza cercando di insegnare, apprendere e praticare un’idea di cittadinanza che non è solo diritti e doveri ma presa di parola e di responsabilità sul mondo; un’idea di cittadinanza consapevole del fatto che conoscere, conoscersi e riconoscersi gli uni con gli altri sono le basi per cercare insieme i modi per convivere, tutti, nel pezzo di mondo in cui siamo capitati.

L’esperienza dei Laboratori è iniziata nel 2008. I lavori realizzati  sono stati presentati ogni anno in incontri pubblici rivolti agli studenti ma non solo. Sono selezionati qui alcuni dei materiali prodotti  raggruppati secondo i tre filoni di lavoro che i Laboratori hanno seguito negli anni: Incontri Ravvicinati e Promemoria, che sono stati presenti fin dall’inizio, mentre si è arrivati a tentare di Raccontare l’invisibile nei Laboratori più recenti.

Ciascun Laboratorio è diverso da tutti gli altri.

Le notizie e le immagini dal Laboratorio di Macomer (Nuoro) che si è concluso nel 2015 raccontano un percorso possibile con i suoi protagonisti e i loro pensieri.

La Fondazione Basaglia ha anche partecipato, e lo racconta qui, al Laboratorio realizzato ad Avellino presso il Liceo Statale Publio Virgilio Marone tra dicembre 2015 e aprile 2016.

 

E’ stata un po’una scommessa portare a scuola persone che hanno conosciuto la follia o che ancora ci stanno dentro, uomini che hanno conosciuto il carcere o sono tutt’ora detenute, giovani appena arrivati da mondi di cui normalmente si ignora lingua, storia e geografia. Il primo rischio era quello di presentare agli studenti persone e storie risolte, quasi degli “zio Tom” messi lì per dare risposte evitando che nascano domande. Neppure era facile andare dove queste persone vivono o passano gran parte del loro tempo: centri diurni di salute mentale e comunità, luoghi di lavoro, centri di assistenza. Fortissimo il rischio di andarci come allo zoo, per dirla con le parole di una studentessa che raccontava di una visita a un centro per minori in difficoltà. Si è lavorato perciò sulle ragioni di questo incontrarsi, da una parte e dall’altra, e su ciò che si poteva fare insieme in questi incontri. La strada si è costruita camminando e gli incontri ravvicinati sono diventati esperienza di routine nei Laboratori, mai banale però, e sempre diversa.

I Laboratori degli anni scorsi sulla chiusura dei manicomi, i nuovi servizi e i nuovi diritti mentre ci hanno consentito di capire un po’ di più cosa è accaduto in Italia dopo la riforma hanno però sedimentato la sensazione che diritti, servizi, psichiatria ( o salute mentale che dir si voglia ) siano abiti troppo stretti per l’esperienza della follia che abbiamo incontrato da vicino grazie ad alcune persone con cui abbiamo lavorato. Di qui il bisogno di andare oltre la dimensione e il linguaggio dei diritti e delle politiche, il bisogno di fare una sorta di promemoria sulla posta in gioco, che è l’esperienza umana della follia, appunto. Simile il percorso dei Laboratori su carcere, pena, rieducazione, che sono stati utili per far emergere e smontare ignoranze diffuse e luoghi comuni e per far conoscere le esperienze di ritorno alla vita attraverso il lavoro e ci hanno lasciato in eredità l’esperienza della complessità delle persone e della situazione di tensione che vivono, tra il desiderio di contare producendo qualcosa di positivo e la realtà di essere contati ogni sera, tornando in cella. Quando più di un anno fa abbiamo cominciato a lavorare a Sassari al Laboratorio che abbiamo chiamato RadioGrafie ( il nome svela l’ambizione…) già eravamo alla ricerca di questa “eccedenza” di umanità, socialità e politica che le categorie conoscitive –  psichiatriche, psicologiche, giuridiche, sociologiche ecc. – non rappresentano e spesso anzi nascondono o cercano di ridurre alla propria misura. Così abbiamo cominciato a usare il concetto di “invisibile” per collocarvi queste eccedenze che provavamo a rintracciare, con la sola pretesa che individuare segni, orme e di coinvolgere altri in questo esercizio, convinti che negli umani esista “una inclinazione a pensare al di là dei limiti della conoscenza e a trarre da questa attitudine qualcosa di più che uno strumento del sapere e del fare”, come scriveva la filosofa  Hannah Arendt. Arendt rilevava i pericoli della “crescente incapacità a muoversi nella sfera dell’invisibile, del discredito in cui è caduta ogni cosa che non sia visibile, tangibile, palpabile”, ed è stato un conforto non dappoco riscoprire queste sue parole sul finire di questa tappa del lavoro sull’invisibile che progettiamo di continuare.

Si parte dal presente per interrogare il passato, quello molto lontano che si rintraccia nei libri, negli archivi, nei musei, quello più  vicino che è stato oggetto di inchieste, che ha immagini e suoni e che può essere raccontato da testimoni. Servono delle chiavi per entrare sia nel passato che nel presente, per vedere somiglianze e differenze, e per vedere ciò che a prima vista non si vede. La prima fase dei Laboratori è dedicata a trovare, e in parte a costruire, queste chiavi con strumenti diversi, dai libri ai  documentari e ai film, dai siti internet agli archivi e ai musei. Il filo conduttore è tanto il lavoro di Franco Basaglia quanto il suo sguardo, che cerchiamo di identificare e di imparare. Provando, nei Laboratori, a immaginare il suo sguardo sul nostro mondo di oggi.