Roma, aprile 2011

Indovina dove si va a pranzo? In un appartamento appena sistemato dove abitano quattro giovani donne, un appartamento che è una conquista: tutte vengono da qualche anno – chi più chi meno – di comunità terapeutica. Le invitate – studentesse di quinta liceo – già conoscono le ragazze e hanno un po’ partecipato alla costruzione di questa casa, alle difficoltà non solo amministrative, ai desideri e alle paure. Questa è una casa non una struttura, le abitanti hanno fatto con i loro familiari un’associazione alla quale il Municipio ha affidato l’appartamento, sono loro che pagano le bollette e si organizzano la vita, il Centro di salute mentale segue il tutto come fa con altre convivenze, magari qui con un affetto speciale.

Roma, marzo 2011

Un pomeriggio nel laboratorio d'arte. Si discute dei ritratti ora che sono stati rifiniti: gli studenti (il gruppetto di sette che ha deciso di seguire quest’attività) sono stati “utilizzati” come modelli dai ragazzi della Comunità, ora si tratta di commentare - qualche pensiero non di più - i ritratti realizzati. Di chi parla il ritratto, di chi è lo ha fatto o di chi ha posato? Ci si lascia col progetto di passare alla scrittura, da ogni ritratto un storia. La storia di chi? di chi ha posato, di chi ha disegnato, di chi guarda e scrive?

Roma, marzo 2011

Incontri ravvicinati di Ilaria, Sara, Susanna e Gabriele (studenti di quarta liceo) con la realtà delle persone che  chiedono asilo. Il percorso si svolge al Centro di accoglienza Baobab di Roma con l’aiuto di Daniel e Domenico, responsabili del Centro. Baobab è un centro di prima e seconda accoglienza per immigrati di diverse provenienze, ma soprattutto del Corno d’Africa. Ci tengono a sottolineare che è un centro modello, che ha raccolto premi e riconoscimenti anche a livello europeo. Cerchiamo di entrare in “punta di piedi” nella loro “casa”, cercando di non invadere certi spazi e di non essere inopportuni. Abbiamo diverse idee: uscire insieme per scoprire i monumenti della città, una partita di pallone, un pic-nic, o un laboratorio di cucina in cui fare uno scambio di ricette italiane-etniche. Oggi cominciamo: abbiamo fatto delle torte da mangiare tutti insieme al Baobab, chiederemo agli ospiti che ne hanno voglia di raccontarci e insegnarci dei giochi tipici del loro paese di origine. Idriss, uno degli ospiti veterani, si rivela la chiave di apertura di tutti i contatti. È lui che accompagna e guida il nostro pomeriggio: ci presenta e ci insegna a giocare a un gioco che lui faceva con le biglie quando era bambino. È stato molto bello e coinvolgente. Alla fine della serata si erano avvicinati quasi tutti a giocare con noi, raccontandoci la loro variante di gioco. Abbiamo mangiato le torte e bevuto il thè. E’ stato bellissimo scoprire che, in qualsiasi parte del mondo si nasca, i bambini giocano tutti allo stesso modo.

(alp)

Roma, febbraio 2011

Primo giorno al laboratorio di movimento espressivo, un corso di danza con una forte componente di espressività corporea guidato da una giovane donna molto coinvolgente. Le più timide, quasi spaventate, sembrano due studentesse del gruppo che ha deciso di seguire quest’attività del Centro Diurno. Alla fine, all’uscita, sono le più emozionate, la timidezza sembra sparita, sono quasi euforiche, raccontano che non immaginavano una situazione così. Forse si aspettavano di aiutare i giovani della Comunità Terapeutica che avevano già incontrato, e che sono segnati da una grande sofferenza, che si vede subito, anche nel corpo. Forse non si aspettavano di scoprire sensazioni ed emozioni sconosciute, le proprie.

Roma, giovedì 18 marzo 2010

I giardini di marzo si vestono di nuovi colori, anche al Colle Oppio, a ridosso del Colosseo. La giornata è bellissima e così quando arriva il piccolo gruppo di studenti sembra più una fuga da scuola che una lezione. La squadra della Cooperativa 29 giugno è al lavoro da presto, si può fare una pausa sigaretta per spiegare il lavoro, la cooperativa, qualche stralcio di vite complicate, il sentimento di aver trovato, finalmente, un approdo, qualcosa che ti fa campare ma anche essere fiero di te. Ma l’incontro è troppo breve, bisogna tornare al lavoro, le domande restano moltissime, dovremo organizzare altre e meno precarie occasioni di incontro.

(mgg)

Venezia, 12 febbraio 2010

Cerchiamo di creare comunicazione e scambi tra i Laboratori della diverse città, così partecipo, per una mattina, al Laboratorio che si sta svolgendo all'Istituto Stefanini di Mestre. La discussione con gli studenti cade sull'estetica dei luoghi di cura. “Io, se dovessi rompermi una gamba, vorrei che mi venisse curata bene, non mi interessa se l'ospedale è bello o brutto”. A parlare è un ragazzo seduto in seconda fila. Non tutti sono d'accordo e si apre un dibattito: il corpo malato può essere riparato come un oggetto separato dalla persona? Quest’idea fa certo parte della cultura medica per la quale diventi un numero di letto, una diagnosi. Molto di questa cultura è passato dalla medicina alla cultura di massa, e noi stessi ci guardiamo con gli occhi dei medici. Sara, che anima il Laboratorio, alla fine fa una sintesi che mette tutti d'accordo. Qualità delle cure, oltre la tecnica medica, e qualità degli spazi di cura. Anche il “bello” è terapeutico.

(dp)

Roma, martedì 2 febbraio 2010

Ore 9.00. Nell’aula affollata da due classi del liceo di Via Asmara 28 non è facile produrre il silenzio che serve per iniziare. Brevi presentazioni e poi la parola a Salvatore, della Cooperativa 29 giugno, soci ex detenuti e semiliberi, utenti dei servizi di salute mentale, immigrate vittime della tratta, insomma persone con gravi difficoltà di vita. “Sono uno che molti anni fa ha commesso un grande errore: ho ucciso una persona…” Quasi si sentono i respiri tanto il silenzio si fa totale. Molti prendono piano carta e penna. Prenderanno appunti per tutte le due ore successive. Anche il ragazzo che la scorsa settimana ha sostenuto la pena di morte durante la lezione sul carcere.

(mgg)

Roma, venerdì 29 gennaio 2010

Ore 20. Arriviamo quasi tutti in ritardo per l’invito a cena nella sede dell’associazione Baobab, che sta in via Cupa, vicino a san Lorenzo, quindi al centro di Roma ma in un posto difficile da trovare, una micro area industriale dismessa, qualche capannone cadente, altri restaurati come questo bellissimo spazio. Da una parte, la sala che ospita convegni, cinema, feste private, corsi di ginnastica e ballo e anche la mensa. Dall’altra il centro di accoglienza, in cui abitano un centinaio di persone, tutti uomini, quasi tutti giovani, che arrivano dai paesi del Corno d’Africa tormentati dalla guerra e chiedono asilo qui in Italia. In molti casi, chi chiede asilo da noi, anche quando lo ottiene, è lasciato ad arrangiarsi da solo: a Roma sappiamo da tempo degli afgani sotto le pensiline e nei buchi del cantiere della stazione Ostiense, e dei rifugiati che vivono da tre anni nello stabile fatiscente della ex ambasciata somala… Questo invece è un posto civile ed efficiente, da diversi anni messo in piedi dalla Cooperativa 29 giugno in convenzione con il municipio e gestito da un gruppo di rifugiati.

Le ragazze della 5° arrivano, giustamente, con delle torte fatte in casa da loro, la cena preparata per noi è di squisita cucina eritrea, fritti di verdura, polpette di ceci e zighinì non troppo piccante adagiato nella n’gera, una sorta di pane un po’ spugnoso fatto di teff, un cereale tipico dell’Africa Orientale. Le ragazze sono allegre, hanno occhi curiosi per tutto ma mangiano solo pane, e qualche coraggiosa tenta i fritti…Imbarazzo reciproco, si finge inappetenza ma poi arrivano adeguati piatti di formaggio, olive e affettati. La morale della favola è che ’incontro con l’altro riserva sorprese, a volte ben più dure e difficili di questa. Intanto fuori aspettano le ragazze un gruppo di (forse) fidanzati, che vengono invitati a entrare. La curiosità si moltiplica, lo ci capisce dagli sguardi intimiditi e indiretti, le parole sono poche, nessuna dal gruppetto di giovani rifugiati che probabilmente non parlano affatto l’italiano. Di un incontro, forse, ci sono le premesse.

(mgg)